Un quartiere fuori dal tempo: il Coppedè

Roma può essere difficilmente definita con una sola parola:
c’è chi la chiama ladrona, chi la pensa come una donna che si offre a molti amanti, chi la dipinge a Piazza Navona e chi la frequenta solo nel fine settimana, per una scappatella che dura il tempo di un giro nel centro storico.

Oggi parliamo di un “quartiere” simbolo di Roma, un luogo che sembra trasportarci fuori dal tempo: il Coppedè.

Indice

L’Ingresso
La fontana delle rane
Il villino delle fate
Il palazzo del ragno
Informazioni pratiche

L’Ingresso
Il cielo è plumbeo, pesa sulla città ed è forse una di quelle giornate in cui eviteresti i mezzi pubblici.
Camminando lungo viale Regina Margherita in direzione di piazza Buenos Aires, sulla destra c’è qualcosa che per un momento ti fa pensare di avere le allucinazioni: un enorme arco sospeso tra due palazzi, da cui pende un lampadario in ferro battuto.

Il volto della Minerva sembra scrutarti con sguardo imperturbabile,  una guardiana silenziosa che osserva la vita muoversi intorno.

Questo è l’ingresso del Coppedè, un portale che sembra condurre in uno spazio “altro” fatto di mescolanze, ispirazioni, atmosfere contrastanti. Quello che ti trovi di fronte è un mondo surreale, un quartiere-opera che si presenta come il risultato di un amalgama di stili e di epoche diverse tanto da essere difficilmente collocabile in un tempo preciso.

È una realtà fuori contesto, un luogo che non riesci a pensare come Roma: un progetto che appare un vero e proprio delirio architettonico tanto originali sono gli accostamenti.

Ma a guardare bene di fronte a te, cominci a pensare che siano le auto a guastare l’insieme; che non siano al loro posto. Ti immergi completamente nell’assurdo, tanto da diventarne parte integrante.

Sotto l’arco noti dei balconi affacciati sulla strada e pensi a come sia strano che palazzi del genere siano abitati da persone della tua epoca.

La fontana delle rane

oppedè, grata di una finestra

Coppedè, grata di una finestra

Persino gi sportelli che coprono gli impianti elettrici e le grate hanno un loro fascino.

Il tuo occhio curioso non sa bene dove guardare, gli stimoli sono infiniti: il Coppedè è un essere vivo che muta ad ogni passo, mai uguale a sè stesso.

Il “quartiere”, così come lo definì volutamente Gino Coppedè pur parlando di un agglomerato di un ventina di edifici, si impernia su piazza Mincio, un ideale nucleo centrale dominato dalla Fontana delle rane.

 Alcuni giovinetti, con le guance gonfie come se fossero impegnati in una gara a chi spruzza più lontano l’acqua che ha in bocca, sorreggono sulle proprie spalle delle grandi conchiglie. Su di esse siedono le famose rane che danno il nome alla fontana.

Dicono che i Beatles, dopo una storica serata al Piper, fecero il bagno completamente vestiti: un versione maschile de “La dolce vita” di Fellini, con un’ambientazione d’eccezione. Si tratta di una leggenda metropolitana, che conferisce un pizzico di fascino in più a questo luogo magico.

Pensando al grande arco che hai attraversato non puoi che fare il confronto tra questi due pezzi di realtà, tanto diversi, eppure perfettamente in equilibrio tra di loro, notando come la fontana, realizzata come l’intero complesso residenziale tra il 1921 e il 1927, sia in stile barocco.

Fontana delle tartarughe, Piazza Matte

Fontana delle tartarughe, Piazza Matte

Il nome e anche la forma della fontana ne richiamano inevitabilmente un’altra: quella delle Tartarughe in Piazza Mattei, proprio di fronte alla dimora dove Leopardi soggiornò presso lo zio nel 1821.

La storia ci indica percorsi che si intersecano e che ci porterebbero a ripercorrere le vie di Roma alla ricerca di spunti ed elementi che sicuramente Coppedè tenne in considerazione.

Come in un gioco di composizione, si potrebbe pensare a questo frammento di città come ad un simbolo della stratificazione di Roma, della sua natura composita: Medioevo, Rinascimento, Barocco, Liberty; tutto convive e interagisce con lo spazio circostante.

Il villino delle fate

Alle spalle della fontana, provenendo da via Tagliamento, è inevitabile che noti una curiosa costruzione il cui profilo risalta contro il cielo, assumendo un aspetto ancora più bizzarro e affascinante: è la villa delle fate.

Ad ogni passo che fai per avvicinarsi alla struttura non puoi fare a meno di pensare che il nome sia veramente azzeccato: la villa delle fate è veramente magica, da qualsiasi lato la si guardi.

Una torretta svetta dal alto che si affaccia sulla piazza, sormontata da un segnavento in ferro raffigurante un gallo che ti porta a pensare alle casette di campagna di un’epoca lontana. Le tegole in cotto accrescono questo senso di familiarità con qualcosa di comune e concreto.

Ma subito la prima impressione suscitata da questi piccoli dettagli si rovescia nel suo opposto considerando la villa nel suo insieme: una struttura complessa, decorata in modo vario.

Villa delle fate, Dante e Petrarca

Villa delle fate, Dante e Petrarca

Sul corpo di sinistra, ai lati di una quadrifora, ammiri dei ritratti familiari, quelli di Dante e Petrarca, la cui identità è confermata dall’affresco vicino ove si scorge distintamente la cupola del Brunelleschi, simbolo di Firenze.

FIORENZA BELLA

recita la scritta che fa da didascalia all’immagine: un riconoscimento e un omaggio alla gandezza di una città che è stata culla di arte e poesia.

Nulla è lasciato al caso, anche gli aspetti più quotidiani e forse umili  vengono trasformati in opere da ammirare.

Così porte e finestre presentano cornici arabescate, finte colonne, decorazioni di grande impatto visivo curate fino all’estremo.

Una lupa che allatta Romolo e Remo chiude il balcone del secondo piano, sul lato destro della villa. Non c’è una sola finestra che sia perfettamente identica alle altre. Il tuo sguardo si muove tra elementi asimmetrici, si sofferma su un arco per poi analizzare il grande orologio astronomico posto sulla parete vicina.

Sei disorientato.

Il palazzo del ragno

Dopo aver girato intorno alla villa delle fate, il secondo palazzo che ti attrae quello del Ragno. Non ti domandi nemmeno il perchè di questo nome, dato il grosso ragno dorato che ti accoglie all’ingresso.

Il volto scolpito nella pietra ti guarda con aria minacciosa, quasi dissuadendoti a mettere piede sul basamento sopraelevato per dare un’occhiata più da vicino: sembra il gemello della Minerva dell’arco di via Tagliamento.

Il motivo prevalente nella decorazione è quello degli animali, raffigurati in atteggiamenti feroci: teste di leone, acquile alla sommità dei pilastri fino a giungere a creature fantastiche uscite da un bestiario medievale come il Grifone e la Chimera.

Il tutto appare ancora più strano se ti giri, dando le spalle a questo palazzo per guardare ciò che si trova di fronte. Al di là della Fontana delle rane, scorgi un palazzo decorato con motivi geometrici, dai balconi simili a strumenti di tortura, con immagini di cavalieri, coppe, leoni, stemmi araldici del tutto inventati a metà tra il medievale e il kitch.

Il sole tramonta e la luce cade obliqua sui tetti del Coppedè, tingendoli d’oro e trasformandolo in un luogo denso di evocatività. Il buio porterà con sè un senso di oscurità più greve, da film dell’orrore. Ti muovi nella dimensione del sogno e qui tutto è in bilico…

Informazioni pratiche

Come arrivare:
Per raggiungere il quartiere Coppedè è possibile prendere i tram 3 e 19 all’altezza della stazione Metro Policlinico per scendere a Piazza Buenos Aires; in alternativa è possibile arrivare a piedi, percorrendo Viale Regina Margherita sul lato destro della strada, per svoltare su via Tanaro o, ancor meglio, su via Tagliamento, dove si trova l’ingresso principale.

Per ulteriori informazioni, vieni a trovarmi su Parole In Viaggio!

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